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29 luglio 2007

L'ANNO CHE VERRA' 

Precauzioni: si astengano dalla lettura coloro i quali credano che il titolo preannunci contenuti sportivi sulla prossima stagione agonistica del SempreVolley: ne rimarrebbero delusi. Sappiamo poco o niente del volto che avrà la nostra squadra nel 2007/08: abbiamo saputo il nome del nuovo allenatore in anteprima intercettando per puro caso un fax in azienda. No, quello dell'ingaggio di Dineikine invece non c'era...

Non bisogna certo scomodare Montesquieu (non si affannino coloro che passano - invero con stimabile costanza, nonostante sia passata da un bel po' la festa per la permanenza in a/1 strombazzata in home page - di qui per conoscere in anteprima i colpi di mercato del Sempre Volley: è un filosofo francese, non un martello-ricevitore d'oltralpe) per giungere alla conclusione che tutte le cose umane hanno un inizio e una fine.

Finiscono le cose belle, di solito molto in fretta (iniziamo bene in quanto a banalità...), finiscono pure quelle brutte e, nella generale indifferenza, finiscono anche le cose così così.

"There is never a neverending thing" potrebbe essere il ritornello di una melensa canzone pop, invece è una verità. Nemmeno l'avvocato Taormina, azzeccagarbugli delle cause più improbabili, potrebbe fare causa a Michael Ende, autore de "La storia infinita" (mediocre libro molto gettonato nelle festicciole ai tempi delle nostre scuole medie), per pubblicità ingannevole.

Comunichiamo ufficialmente - gli amici più veri comunque lo avevano intuito o e i lettori più scaltri avevano colto da tempo inequivocabili segnali di stanchezza - le nostre dimissioni. Come Charlie Brown in una bellissima strip ("Io soffro di claustrofobia nel mondo. Se la vita è un lavoro, vorrei licenziarmi. Solo che non so quale sia l'ufficio incaricato di accogliere la mia domanda"), non abbiamo la minima idea né di quali dimissioni stiamo parlando né di chi sia il nostro referente: in fondo non ci ha mai assunto nessuno e la nostra identità si è formata - cosa che invero ci suscita pure un pizzico di tristezza, ma tant'è - soprattutto attraverso il blog.

Quando, quasi quattro mesi fa, in un mercoledì sera pieno di paure e di emozioni fortissime, Giorgio De Togni è entrato in campo al posto di Davide Tovo ci siamo resi conto - con un po' di inevitabile magone - che quello poteva essere l'ultimo cambio della nostra luminosa carriera di palettaro. A 16 anni abbiamo lasciato il basket giocato lo stesso giorno in cui si ritirava Magic Johnson (ecco perché i giornali non hanno poi dedicato molto spazio al nostro addio al mondo della palla a spicchi) e oggi salutiamo la panchina con una squadra ancora nella massima serie.

Avevamo subordinato questa decisione alla permanenza nel massimo campionato dell'Antonveneta, proprio perché nessuno pensasse che la molla di questa decisione potesse essere la scarsa volontà di sporcarsi le mani con realtà come Modugno Noicattaro, Castellana Grotte, Isernia, Crema o Taviano (trasferte che, sia detto senza offesa per nessuno, sarebbero state in ogni caso delle oggettive discrete rotture di coglioni).

Ci fa inoltre piacere terminare la "carriera" con uno dei gruppi in assoluto più educati e soddisfacenti dal punto di vista umano con cui ci si mai capitato di "lavorare" (immaginiamo che al metalmeccanico del turno di notte in fonderia tutto questo ricorso a termini che riciamano il vero mondo del lavoro non suoni così appropriato): perché, sia detto chiaramente, di volley capiremo forse poco o nulla, ma se non avessimo ricavato un briciolo di soddisfazioni umane oltre che sportive, difficilmente un talebano della ragion morale come noi avrebbe resistito ben cinque anni. Un episodo stupidissimo su tutti: negli anni abbiamo sempre guidato con piacere la macchina di parecchi atleti verso i palazzetti di tutta la penisola. Si tratta di un piccolo e per nulla impegnativo favore personale, ovviamente, ma per ritirare il mezzo qualcuno ci ha sempre dovuto accompagnare. Giorgio De Togni è stato il primo che ha avuto l'accortezza di consegnarci l'auto sotto casa la sera prima e che si sia preoccupato - lui! - di organizzarsi in qualche modo.

Salutiamo una bella famiglia, perché - ve lo assicuriamo - quando i mezzi economici sono quel che sono bisogna necessariamente aggiungere qualcosa in più per sopravvivere a questi livelli. E in campo, in sede e all'interno di tutte le varie aree e a tutti i livelli dello staff a Padova si capta quel tocco umano che rende speciale anche una banalissima serata in pizzeria. E' una cosa forse difficilmente spiegabile - e altrettanto difficilmente comprensibile - ma chiunque abbia incrociato il proprio cammino con i colori bianconeri capisce di cosa stiamo parlando. E ci piacerebbe tanto lo capissero pure quei simpatici individui (tifosi, ma - temiamo - non solo, di altre realtà pallavolistiche) che negli ultimi mesi hanno imbrattato forum e guestbook disegnando scenari ridicoli e soprattutto non avendo la minima idea di offendere un bene preziosissimo, la dignità.

E allora perché lasciare? Nella vita finiscono gli amori, cambiano le passioni, si affievoliscono le convinzioni politiche, ci si stanca degli hobby, si battono nuovo strade professionali, si chiudono le parentesi e così via. Nulla di strano quindi nell'iniziare a pensare a qualche weekend in più fuori da questo paese, che tra parentesi ci piace davvero sempre meno, oppure stravaccati in divano a seguire una gara del Manchester United (perché, allontanato Zeman, non abbiamo davvero alcun motivo per seguire ancora quello spettacolo meno credibile del wrestling che è diventato il calcio italiano) e una della McLaren o ancora a vedere qualche altro concerto di Springsteen (ci dicono che 27 siano troppi: e allora vedere Tovo quasi tutte le domeniche da quando facevamo la terza superiore?) e dei Radiofiera o leggere un libro o passeggiare per le vie del centro o sfogliare una rivista o guardare il gatto o fotografare un paesaggio o ascoltare una puntata di Caterpillar dall'inizio alla fine o perdersi per delle ore tra gli scaffali di Feltrinelli o ascoltare uno dei 2.000 cd della nostra discoteca o seguire una puntata di Seinfeld o andare a trovare un nostro amico o fare un giro in bicicletta o...

Insomma: sentiamo il bisogno di riappropiarci di un po' della nostra vita. Che inizia - e passati i trenta non si può più sperare di fare gli eterni adolescenti - ad avere ritmi complicati e responsabilità un po' maggiori che in passato. No, nessun progetto né cambiamento radicale di vita (almeno finché non capiamo come replicare senza fatica quel curioso fenomeno per cui quando lasciamo dei calzini o una maglietta per terra la ritroviamo pulita e stirata dentro il cassetto qualche giorno dopo...), ma solo l'esigenza di non avere tutti i week-end dell'anno già decisi in partenza.

Le cose ci piace farle bene, anche quando sono ridicole e insignificanti (in tutta sincerità non crediamo che ci sarà da svenarsi sul mercato per sostituire la figura del dirigente accompagnatore): non vogliamo passare per quelli che seguono la squadra solo per farsi una vacanzina o una bella mangiata. Negli ultimi tempi abbiamo seguito poco o niente gli allenamenti e questo - forse in un eccesso di sensi di colpa (saranno gli effetti dell'educazione (poco)catto(molto)comunista?) - ci ha fatto sentire poco meritevoli di appartenere ad un gruppo di privilegiati, ossia tra coloro che possono vivere e seguire in prima persona un'avventura sportiva di alto livello. Insomma: la partecipazione al party di fine anno a casa Santuz - quello in cui anche quelli solitamente più compassati si strafogano di wurstel e salsicce di ogni tipo, con l'aggiunta di una bella cucchiaiata di fagioli alla Bud Spencer - bisogna conquistarsela sul campo. E quell'atmosfera sarà la cosa che ci mancherà di più, anche se, ovviamente, gli amici rimarranno amici e non è mica che spariamo dal globo terrestre... Di certo però non invaderemo spazi non più nostri e non faremo come quelli che salutano con la manina ai margini di una ripresa televisa, credendo di esserne i protagonisti.

Che poi il rischio - che, anzi, è praticamente una certezza - è quello di ritrovarsi ogni santa domenica al PalaBernhardsson e spesso pure in trasferta a tifare come dei pazzi per questi benedetti ragazzi. Quasi certamente vergognandoci di usare la tessera omaggio, perché noi - che pure almeno almeno per diritto ereditario uno zinzinello di privilegi pensiamo di meritarcelo - non sopportiamo questa cultura imperante dello scrocco, in cui la furbizia è sempre e solo una virtù e massimizzare l'utilità personale diventa una medaglia da appuntarsi al petto.

Volutamente non facciamo nomi in questo post: troppe sono state le persone conosciute attraverso il pretesto della pallavolo e cui poco tempo dopo abbiamo voluto un bene dell'anima. Loro lo sanno, noi lo sappiamo. Ci auguriamo pure di aver lasciato qualche sassolino nell'anima altrui, oltre ad averne ricevuti davvero tantissimi.

Chiude le serrande anche il blog, almeno così come lo conosciamo: Gazzetta dello Sport (la lettera di dimissioni di Berruto) e Repubblica (una foto di Morsut) dovranno non citare altre fonti quando dovranno raccontare episodi curiosi da Padova... Ma vale il discorso di prima: chi vorrà continuare a sapere come la pensiamo sui più disparati argomenti (e un giorno da qualche parte, magari su quel blog generalista di cui da anni progettiamo la nascita, pubblicheremo pure la nostra folle teoria sulla pasta fresca) non dovrà far altro che continuare a cercare la nostra amicizia.

Sipario. E ovviamente auguri ad Andrea (Zorzi) per il suo compleanno.

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