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01 dicembre 2004

IL MIO FISCHIO LIBERO 

Fra due giorni questo blog compie un anno di vita. 365 giorni segnati, com'è normale che sia, da alti e bassi - sia sportivi che personali - ma che hanno permesso a questo diario di ritagliarsi un piccolo spazio tra le letture abituali di tanti navigatori, siano essi amici, tifosi o semplici visitatori passati di qui quasi per caso. In queste righe con tutta probabilità non troverete né alta letteratura né pensieri particolarmente originali o brillanti né considerazioni sportive sconvolgenti, ma possiamo assicurarvi che sono scritte con l'anima e il nostro grazie va a tutti quelli che se sono accorti.

Non poteva esserci regalo più gradito che abbinare questa ricorrenza ad un'esperienza profonda e significativa. Questa mattina una delegazione dell'Edilbasso & Partners ha fatto infatti visita al carcere Due Palazzi di Padova per la consegna dell'attestato di abilitazione al ruolo di arbitro CSI di pallavolo a undici detenuti che hanno seguito all'interno della prigione l'apposito percorso formativo. Un corso reso possibile principalmente grazie al sostegno del Comitato Provinciale di Padova del Centro Sportivo Italiano e all'attivismo dei volontari dell'Associazione Tangram.

La giornata è iniziata con una lunga serie di pratiche burocratiche da sbrigare, primo ostacolo tra il mondo esterno e quell'universo dietro le sbarre che a volte è vicino a noi solo in termini di spazio. Mano a mano che ci si addentra all'interno della casa di reclusione accresce questo senso di distacco, amplificato dal rumore delle serrature che si chiudono e dalla luce che deve farsi largo a fatica tra le grate.

Tutti questi pensieri svaniscono però di fronte all'atteggiamento dei detenuti, giunti nella palestra del carcere per una partita dimostrativa. L'abbigliamento non è certo quello delle grandi occasioni (difficile trovare due divise uguali, se si eccettuano due censurabili magliette dell'Inter) e i palloni sembrano esser sopravvissuti ad una gara nell'Est Europa degli anni Settanta, ma a colpire sono solamente gli occhi vispi e la voglia di fare di questi ragazzi. Per questa occasione speciale le due formazioni, denominate con una bella dose di ironia "Free" e "Titanic", si affidano alla guida di Francesco Dall'Olio e Leonardo Morsut e si affrontano in un match con qualche inevitabile ingenuità tecnica e tattica, ma senza esclusione di colpi. E da parte dei nostri rappresentanti non potrebbe esserci dimostrazione migliore della serietà con cui è stato preso questo impegno: entrambi spiegano i segreti del riscaldamento pre-partita, parlottano fitto durante i time-out, addirittura protestano per qualche decisione arbitrale dubbia. Alla fine, per la cronaca, vincerà Pupo per due a zero: la classe, in panchina, non è acqua.

Per una volta lasciamo volentieri in un angolo le considerazioni leggere, sebbene non sarebbero certo mancate le battute su uno sport che offre diversi scherzi linguistici in tema: dal ruolo - gettonatissimo - del libero agli attacchi che scavalcano il muro, passando per il fallo di invasione che diventa magicamente di evasione.

Al termine della gara si svolge, alla presenza del direttore del carcere Salvatore Pirruccio, la cerimonia di premiazione sia per chi ha già concluso tutto il corso sia per chi ha raggiunto il monte ore necessario per ricevere un primo attestato di frequenza. Il freddo e il grigiore della palestra un po' stridono con l'atmosfera di festa della giornata, ma forse servono anche a ricordare che si è pur sempre all'interno di una struttura particolare e mentre noi di lì a poche ore ci immergeremo nuovamente nei nostri agi, tra quelle mura si consumeranno di nuovo giornate sempre uguali. Ed è per questo che non smetteremo mai di applaudire sia l'impegno di chi si prodiga per organizzare attività di questo tipo (che vanno nella direzione di un contenuto educativo piuttosto che punitivo della pena detentiva) sia l'entusiasmo di chi, suo malgrado, si trova per gli eventi della vita ad esserne protagonista. Perché in fondo noi crediamo fortemente alle possibilità di reinserimento sociale di questi individui e dedichiamo volentieri loro questo brano de "La città vecchia" di Fabrizio De André, sempre pronto nelle sue canzoni ad eleggere a protagonisti gli umili ed i deboli:

"...se tu penserai, se giudicherai da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese
ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo..."

Di queste ore ci rimarrano impresse tante cose: dai rimproveri scherzosi del detenuto Daniele a Leo Morsut per i suoi errori nell'ultima partita ai caldi applausi strappati dalla semplice promessa di Giuseppe Cormio, a nome della società, di fornire materiale tecnico adeguato per quest'attività sportiva, dalle foto scattate che giovanissimi ragazzi mi hanno chiesto di sviluppare quanto prima per poter mandare un loro sorriso a casa alle legittime rivendicazioni di chi vuole che occasioni come queste diventino la regola e non una piacevole eccezione, sino al conclusivo e assordante liberatorio fischio finale con i fischietti da arbitro appena ricevuti.

Fuori dal Due Palazzi, di nuovo liberi, non può sfuggire una considerazione in vista del derby di domenica. Forse la strada per tornare alla vittoria non passa tanto per fantascientifici laboratori medici, allenamenti preparati sin nei minimi dettagli, statistiche computerizzate o l'ultimo modello di Nike, ma per il recupero di quello spirito - che è la vera essenza dello sport - dimostrato dai vari Giuliano, Diego, Sheng Yuon e tutti gli altri. Le scarpe consumate, gli improbabili pantaloncini, i palloni lisi, i brividi di freddo, la mancanza di spogliatoi: nulla in confronto alla loro voglia di vincere. Sul rettangolo di gioco e fuori.

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