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20 luglio 2005

SCACCO MATTO 

Uno dei grandi paradossi dell'Italia - come notava argutamente qualche lustro fa Ernst Hemingway (siamo comunque certi che l'autore de "Il vecchio e il mare" e "Per chi suona la campana" oggi si soffermerebbe su ben altre stranezze del Bel Paese...) - è che metà della popolazione non legge assolutamente mai un libro, mentre l'altra metà i libri... li scrive! Chi di noi non ha infatti avuto un compagno di classe che ha pubblicato una terrificante raccolta di poesie oppure un collega di lavoro che, nei ritagli di tempo, confezionava quello che (solo) lui riteneva il capolavoro letterario del secolo?

In questo intricato e certamente sovraffollato (comunque, se in libreria finiscono le "opere" di tanti comici televisivi e di gente tipo Emilio Fede o Bruno Vespa - oddio, a pensarci bene non che appartengano ad un'altra categoria... - abbiamo più o meno tutti il diritto di definirci scrittori) universo letterario mai però ci saremmo immaginati di imbatterci in un agile volumetto di un centinaio di pagine, firmato nientemeno che dal neo allenatore della Giotto Padova Mario Berruto.

"Andiamo a Vera Cruz con quattro acca. Storie di sport e scacchi matti", uscito per i tipi di Bradipolibri, è una storia che ha inizio nel cuore del Magadascar e più precisamente al mercato di Antanarivo, dove l'autore e Monsieur Do, strampalato insegnante di educazione fisica in una scuola missionaria, rimangono incantati da una scacchiera intagliata a mano da un artigiano locale. Da quella visione prende spunto un'immaginaria e onirica partita di scacchi: Berruto passa in rassegna pedoni, torri, alfieri, re e regine pescando sia tra i grandi personaggi della storia dello sport (citiamo, a caso tra i tanti, Bubka, Maradona, Tyson, Michael Jordan, gli All Blacks) che tra atleti che a stento raggiungono la notorietà presso gli addetti ai lavori (come la maratoneta svizzera Gabriela Andersen-Scheiss, cui è dedicata la copertina), senza tuttavia dimenticare le storie - ugualmente importanti - di persone semplici, i cui destini si sono più o meno casualmente incrociati col mondo dello sport. Ciascun breve ritratto è affrescato con un tratto delicato, leggero, spesso lievemente ironico e talvolta malinconico; alla grandezza della prestazione sportiva è sempre abbinata una riflessione, vuoi psicologica, vuoi filosofica o più semplicemente di buon senso e semplice umanità, doti che sembrano abbondare tra i valori del nuovo coach patavino. In definitiva Berruto, con una scrittura decisamente scorrevole e sempre piacevole, scavalca i confini dell'agonismo puro e semplice, del record, della vittoria e dell'impresa, a dimostrazione che lo sport spesso altro non è che lo specchio della vita e non un universo a parte. Questo sia che si parli di grandissimi campioni che di persone che a malapena riescono a sbarcarci il lunario.

I maligni potrebbero pensare che l'acquisto, la lettura e la recensione di questo libro rappresentino una sorta di captatio benevolentiae di chi scrive per conquistare la tanto agognata riconferma sulla panchina del Sempre Volley. Invece parliamo semplicemente da amanti della buona lettura. E questo è senza dubbio un bel libro. E se poi, come diceva ancora Hemingway, un libro altro non è che la punta di un iceberg, abbiamo tutta l'impressione che a Padova ci troveremo a che fare con una bella persona.

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