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15 novembre 2005

L'ALTRO LATO DELLA PANCHINA 6
Grazie a tutti. I perché della mia scelta
 

Cari amici del SempreVolley Padova,
per darvi una idea più chiara dei motivi che hanno portato alle mie dimissioni devo fare un paio di premesse:

- in Italia (dove si gioca senza dubbio il campionato più bello-forte-desiderato del mondo) ci sono 14 squadre di A1 e quindi 14 allenatori. Gli allenatori italiani di pallavolo regolarmente tesserati sono alcune migliaia e, naturalmente, tutti sognano di allenare in A1. Ma anche tutti gli allenatori del resto del mondo sognano di allenare in A1 in Italia. Fate voi i conti per determinare statisticamente quanti ci riescono.

- io vengo dal nulla pallavolistico. Non sono ex-giocatore di successo, non ho pedigree acquisiti per chissà quale merito ancestrale. Se sono arrivato ad allenare in A1 l'ho fatto guadadagnando e difendendo ogni centimetro che conquistavo. La mia strada è incominciata nell'anno del Signore 1989, la mia squadra si chiamava Coordinamento Giovanile San Paolo, Oratorio di S. Bernadino, Borgo San Paolo, Torino. I campionati ai quali la mia squadra partecipava erano quello Fipav di Terza Divisione (l'ultimo dal basso) e quello delle Pgs (Polisportive Giovanili Salesiane).

Viste le premesse maggiore e minore vi lascio dedurre, per sillogismo, quanto la mia decisione sia stata sofferta. E quanto, ancora adesso, mi faccia soffrire.

Ma ho perso.

Ho perso non negli aspetti tecnici o tattici del gioco. Ho perso, purtroppo, nella cosa più importante in cui credo: che per giocare a pallavolo, scrivere un libro, dipingere un quadro, oltre al muscolo pettorale sia necessario anche quello cardiaco.

Ho perso nel non riuscire a fare sì che la mia squadra, in campo, trasmettesse emozioni. Non gesti tecnici d'eccellenza, non scelte tattiche geniali. Semplicemente emozioni. Mi sarebbero bastati tanti set come il terzo di Macerata e oggi sarei ancora al mio posto, pure con le stesse sconfitte, con le stesse difficoltà, con lo stesso numero di punti in classifica. Con lo stesso pane duro.

Invece ho perso.

Non mi va di fare né l'eroe né la verginella. Sono deluso, arrabbiato, ferocemente triste. Ma, sia ben chiaro, non mi sento tradito da nessuno. Non sono un eroe, né una verginella, né un ipocrita. Per cui credo sia evidente che sono deluso e arrabbiato non nella stessa misura con tutti i miei dodici giocatori. Certamente qualcuno è stato molto al di sotto delle mie aspettative. Ma non credo che nessun atleta venga in palestra demotivato. Così rimprovero a me stesso di non aver saputo trovare la chiave giusta per accendere qualche motore. L'ho cercata, questo sì. Ma non l'ho trovata. E se questi motori si accenderanno adesso questa sarà la conferma dell'utilità della mia decisione. E le considerazioni personali resteranno per me.

Devo ringraziare la società, non formalmente, ma sinceramente. Perché fino all'ultimo secondo (e anche dopo) mi ha trasmesso una fiducia incrollabile. Ma, purtroppo, la fiducia nel mio metodo, nel mio stile, nella mia strada l'avevo smarrita io stesso verificando che alcune situazioni che cercavo di combattere si ripresentavano tali e quali con il passare delle giornate di campionato.

Così nei match dell'ultimo mese ma anche tante volte in allenamento, durante la settimana, mi sono accorto che l'inerzia era preoccupante. E che questa inerzia non avrebbe permesso a questa squadra di raggiungere il suo obiettivo che oggi, dopo un terzo di campionato, è lì a quattro punti. Cioè a poco più di una partita. E di partite ne mancano diciassette.

Ho ritenuto giusto, utile e onesto, fare un passo indietro un minuto dopo l'ultima partita della prima fase di campionato. Ho ritenuto giusto, utile e onesto permettere a chi verrà di poter lavorare per tre settimane prima di arrivare al prossimo appuntamento agonistico sfruttando al pieno la pausa che, in questo momento, è provvidenziale per la squadra. E ho ritenuto utile, giusto e onesto parlare nel corso della settimana scorsa con Presidente e Direttore Sportivo per informarli di tutte queste cose, riservandomi soltanto di attendere la partita di Macerata per ricevere delle ultime risposte che in effetti ho ricevuto, fin troppo chiare e forti.

Così, caduto l'ultimo pallone a Macerata, ho semplicemente applicato una regola. Ho messo in azione un valore in cui credo e che ho raccontato in tutti gli spogliatoi in cui sono stato, a tutti gli atleti che ho avuto l'onore di allenare da Lorenzo Bernardi, mister secolo, a Marco Gaspari, operaio nella vita e libero nel volley della squadra di Torino con cui conquistammo la promozione in A2. Quando racconto questa regola, quando parlo di questo valore dico sempre la stessa frase: "nella pallavolo la cosa che conta più di tutto è la squadra. Solo la squadra permette ad ogni singolo di realizzare i suoi sogni. La squadra sta sopra ogni singolo giocatore. La squadra sta sopra anche all'allenatore".

Non posso sottrarmi alle mie stesse regole.

Grazie a tutti, davvero.

Grazie ai miei atleti, ciascuno dei quali mi ha insegnato qualcosa.
Grazie a Max, che resterà il mio capitano, a Mikko, Simpa, Matti, Peter, Bjorne, Christian, Gil, Marco, Davide, Garghy e Luca.
Ricordatevi che potete farcela davvero a patto che crediate fortemente in voi stessi.

Grazie al mio staff, persone speciali.
Grazie a Roscio, alla dott.ssa Paola, Valter, Dennis, Paolo, Luca, Federico.
Grazie a Mariella per l'aiuto estivo e per la stima.

Grazie ai dirigenti e allo staff della segreteria a cui la passione non manca di certo.
Grazie a Sandro, Carlo, Mario, Stefania, Samuela, Marco, Alessandra.

Grazie allo staff tutto del PalaBernhardsson, in particolare ad Alessandro, splendido esempio di mentalità vincente.

Grazie a tutti i tifosi dei quali ho sentito l'affetto fin dalle e-mail che mi arrivavano in Finlandia. Scusatemi. Avrei voluto farvi vedere qualcosa di più.

Grazie a tutti i giornalisti e addetti ai lavori, con i quali ho avuto un rapporto davvero sincero.

Grazie a Stefano e al Presidente per la fiducia incondizionata della quale non sono riuscito a sdebitarmi. Nella mia carriera ho trovato poche volte situazioni come questa, purtroppo ci siamo incontrati nella stagione sbagliata.

Grazie Andrea.
Grazie per la tua misura e per il tuo amore per questa squadra. Grazie per avermi ospitato su questo blog e permesso, fra le altre cose, di scrivere questo lettera di saluti che mi lascerà un groppo in gola per un po' di tempo. "Le cose hanno vita propria, si tratta solo di risvegliargli l’anima", sono le parole che Gabriel Garcia Marquez fa dire a Melquiades lo zingaro che si rivolge agli abitanti di Macondo mostrando loro i prodigi del magnetismo. Non so se si tratta di magnetismo o di qualche altro segreto alchemico. Ma credo che questa volta la pallavolo, che per ovvie ragioni un po' zingaro mi ha fatto diventare, mi abbia fatto incontrare una persona che ha risvegliato un po' la mia anima. Chi fa sport di professione conosce centinaia di persone, atleti, dirigenti, giornalisti, tifosi. Di qualcuno ci si ricorda con affetto, di qualcuno con rabbia, di qualcun altro non ci si ricorda proprio. A Padova ho trovato una persona vera con la quale ora, davvero, sarà un piacere parlare di tutto con intelligenza, ironia e passione. Lasciando la pallavolo come ultimo argomento.


Beatrice Berruto chiama il suo primo schema


Infine grazie alla mia famiglia, a mia moglie Margherita, a Chicco e Bea che oggi compie un mese. Loro, di sicuro, hanno pagato un prezzo troppo grande per le mie tensioni. Adesso, per un po', papà starà a casa.

Mauro Berruto

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