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26 febbraio 2006

PERUGIA AMARA, PERUGIA AMARISSIMA 

Prima della gara contro Vibo Valentia si diceva: o dentro o fuori. Seppur sconfitti, si è detta la stessa cosa prima della sfida di ieri al PalaEvangelisti. E il Giotto, purtroppo, è fuori anche questa volta.

Un tre a uno di quelli che fanno male. Perché, sinceramente, a questo punto della stagione sarebbe molto meglio esser presi a sberle dagli avversari e capire che non si può proprio far nulla. Come nel baseball: sospensione per manifesta inferiorità. E invece anche questa volta l'analisi della partita dovrebbe parlare di recriminazioni, di occasione gettata al vento, di squadra che lotta e si perde solo nei momenti topici di ogni set e così via: francamente non ne abbiamo proprio voglia.

Siccome cinque indizi (Trento, Piacenza, Montichiari, Verona, Perugia e forse dimentichiamo qualche altra situazione...) fanno molto più di una prova, viene il sospetto che a questo gruppo manchi qualcosina. E, sia chiaro, non parliamo esclusivamente di tasso tecnico. Sin dalla costruzione estiva - in condizioni economiche non propriamente facilissime - era chiaro a tutti che ci sarebbe stato (e parecchio) da soffrire, ma si confidava che la logica del buon lavoro che ha sempre contraddistinto Padova e l'esperienza di una struttura navigata avrebbero costituito un piccolo bonus in più rispetto agli altri team destinati alla lotta per non retrocedere. Ora, invece, dobbiamo ammettere che quando vediamo su Sky la Tiscali Cagliari o la Codyeco Santa Croce vediamo due formazioni che possono vincere o, più spesso, perdere, ma molto più consapevoli della nostra della particolare situazione di classifica che stanno vivendo e affrontando.

Woody Allen nel suo bellissimo ultimo film "Match Point" (siamo nei dintorni del capolavoro) dice sostanzialmente che nella vita conta molto più la fortuna del talento. Ovviamente è un'esagerazione ironica, ma forse è vero che il talento puro conta solamente per i grandissimi traguardi. Andrea Sartorati non vincerà mai una maratona olimpica (e nemmeno quella di Casalserugo), perché madre natura non gli ha certo fornito i mezzi fisici per riuscirsi, neanche se si allenasse ventiquattro ore al giorno. Per finire quella di Padova, invece, in poco più di quattro ore forse ci ha messo qualcos'altro.

Non vogliamo puntare il dito contro nessuno, ci mancherebbe, ma magari al destino pallavolistico di Padova ci tengono inevitabilmente di più le persone che stanno intorno al campo (dalla dirigenza ai tifosi, passando per lo staff tecnico e medico) piuttosto che quelli che giocano. Per i quali tutto sommato molto probabilmente ci sarà sempre una seconda chanche da un'altra parte, in fondo in Italia e all'estero si gioca a volley da tante parti... Il che non significa che agli atleti non interessa nulla - anche in settimana, noi testimoni, i ragazzi si sono allenati bene e con un ottimo impegno - ma c'è una sfumatura leggermente diversa: un po' come quando nel basket una squadra è sotto di tre punti e l'americano (perché nella pallacanestro è sempre l'americano a fare queste minchiate!) all'ultimo secondo tira da due come se nulla fosse... A guardare gli occhi di alcuni atleti con la maglia stellata pare di vedere l'accettazione ineluttabile di un triste destino già scritto e questo, a cinque gare dalla fine, non va assolutamente bene. Perché, dalla stessa parte della barricata, c'è chi vive quasi giorno e notte per questa realtà e cerca di fornire tutte le condizioni migliori per rendere al 100%.

Della gara di ieri, gran poco da dire. Non si può pretendere che un giovane di 21 anni, esordiente nel campionato più difficile del mondo e che fino all'anno scorso si allenava la mattina presto perché poi i compagni di squadra andavano a lavorare, risolva da solo la partita, eppure Matti Hietanen ha tenuto a galla la squadra al posto di uno spentissimo Christian Pampel. Garghella e i centrali hanno disputato una buona gara, ma questa formazione - per come è stata costruita - non può prescindere dal buon rendimento di almeno due martelli su tre. E' successo solo a sprazzi e, nonostante questo, l'Rpa Perugia ringrazia per tre punti che qualsiasi squadra, giocando in questa maniera, difficilmente porterebbe a casa. Le partite si possono preparare molto meticolosamente e con tutte le indicazioni tattiche del mondo (ne sa qualcosa Simone Roscini che passa le nottate a studiare le strategie), ma se poi si entra in crisi perché ci si ostina a non ricevere in palleggio una battuta in salto flot di Di Franco, allora forse il problema è un altro. Non si può uscire sempre dai time out senza il coltello fra i denti o gli occhi iniettati di sangue. Quando l'avversario è sotto, Padova non sente mai l'odore della preda. Siamo i primi a sapere che con la sola grinta non si vince nulla, eppure l'esultanza dopo un punto dovrebbe essere un'esplosione di gioia: guardate quella degli uomini di Schiavon e confrontatela con quella di altre formazioni... Da questo punto di vista il capitano Botti a volte sembra predicare nel deserto (complice, forse, la Babele linguistica del team: ma, cavolo, siamo quasi a marzo!) e il tanto criticato Piscopo è forse l'unico cui non si può rimproverare nulla in termini di atteggiamento.

Il ritorno a casa è stato assai mesto. Non aiutato nemmeno dall'autoradio, che in tutto il tratto appenninico capta più o meno solo Radio Maria. Ecco, forse non resta che pregare oppure, più seriamente, affrontare il finale di stagione con ben altro spirito.

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